La gestione del patrimonio pubblico di proprietà di Ater Venezia — Aggiornamento 2020
di Orazio Alberti (OCIO)
Questo breve rapporto è il secondo aggiornamento dei principali risultati riportati in Ater Venezia: i numeri di un fallimento, 2009–2018.
Le elaborazioni sono state svolte sui dati riportati dall’Azienda nel bilancio consuntivo 2020.
1) Patrimonio e alloggi sfitti
Il patrimonio gestito da Ater nella Città Metropolitana di Venezia rimane sostanzialmente analogo a quello censito nel 2019: 10.694 alloggi, dei quali 9.752 di proprietà dell’ente e 942 gestiti per conto dei comuni. Tra gli alloggi di proprietà, 8.728 sono di edilizia sovvenzionata, assoggettati alla L.R. 39/2017 in materia di assegnazioni e canoni, 1.024 sono classificati come edilizia calmierata, destinati a garantire l’alloggio a una fascia di popolazione che non percepisce un reddito sufficientemente alto per poter accedere al libero mercato immobiliare, ma neppure possiede i requisiti per accedere all’ERP, in quanto il reddito familiare è superiore al limite massimo stabilito per la partecipazione ai bandi di concorso.
Continuano invece ad aumentare le abitazioni sfitte, che raggiungono le 2.382 unità; di queste 2.077 sono di proprietà Ater e rappresentano oltre il 20% del patrimonio dell’Azienda.
In particolare, è il patrimonio di edilizia calmierata che fa registrare la quota maggiore di non occupato, che in questo comparto è pari a poco meno della metà del totale degli alloggi (483, il 47,2%), non solo per problemi legati allo stato manutentivo, ma anche per gli alti livelli dei canoni richiesti.
Non c’è comunque un anno nel periodo considerato, nel quale Ater riesca a ridurre la quota di alloggi sfitti: erano 4 ogni 100 nel 2009, sono 1 ogni 5 nel 2020, sempre più vecchi, sempre più degradati, con costi di recupero sempre più elevati.
2) Gli investimenti
Gli investimenti per interventi di nuova costruzione, manutenzione e recupero edilizio, acquisto assumono un andamento costantemente decrescente dal 2009, e crollano pesantemente dal 2016, anno in cui raggiungono l’importo minimo del periodo con 1,6 milioni di euro, meno di 1/10 del 2009. Dal 2016 in poi gli investimenti non riescono nemmeno a coprire gli stanziamenti programmati per la sola manutenzione ordinaria, 4 milioni circa di euro l’anno inseriti nei bilanci di previsione.
Nella Relazione al bilancio consuntivo, il presidente di Ater Fabio Nordio ammette sconsolato: “Le risorse impegnate non sono sufficienti per riuscire a riconsegnare agli assegnatari gli alloggi che vengono restituiti per cessata locazione, a causa della progressiva vetustà del patrimonio immobiliare.” E, più avanti, ribadisce che l’obiettivo dell’Azienda è il “[…] reperimento di risorse finanziarie quali i fondi comunitari POR-FESR 2014–2020 e i fondi di cui alla L.80/2014, che comunque non riescono a sopperire alle esigenze di fondi per mettere a norma gli alloggi sfitti per i quali comunque non ci sono risorse necessarie per il restauro.”
Un quadro desolante, frutto del progressivo disinvestimento dello Stato e della Regione nell’edilizia residenziale pubblica che, a meno di una svolta a 180 gradi, non potrà che incrementare la dimensione delle abitazioni sfitte e il degrado del patrimonio residenziale.
Complessivamente, gli investimenti in nuove costruzioni, recupero edilizio e acquisto di alloggi finiti hanno messo a disposizione nel periodo (12 anni) per nuove assegnazioni 765 alloggi, una media di circa 64 alloggi all’anno.
3) La vendita del patrimonio residenziale pubblico
Il crollo degli investimenti di Ater, non è dovuto solo alla contrazione dei finanziamenti statali e regionali, ma anche al fallimento delle politiche di vendita del patrimonio, che portano nelle casse dell’Azienda introiti sempre più ridotti.
I piani di vendita proposti da Ater e approvati dalla Regione Veneto hanno coinvolto, sin dagli anni ’90 del Novecento, migliaia di abitazioni di edilizia residenziale pubblica, ma quelle effettivamente vendute rappresentano una quota via via decrescente delle potenzialmente cedibili: dal 26,3% della L.560/93 al 3,2% della L.R.7/2011.
Il patrimonio alienato da Ater Venezia tra il 2000 e il 2020, pur raggiungendo la cifra ragguardevole di 1.757 alloggi che dal comparto pubblico sono passati alla proprietà privata, è stato quindi costantemente in calo, così come il fatturato derivante dalle vendite, nonostante l’aumento negli anni del prezzo medio di cessione.
Nel 2020 Ater è riuscita a vendere solo 4 alloggi, introitando 191 mila euro.
I motivi di questo crollo risiedono nelle caratteristiche degli alloggi in vendita (età, stato di manutenzione, localizzazione, contesto urbano) e nella determinazione dei prezzi di cessione, che cambiano di legge in legge, a volte più restrittivi, in altri casi più favorevoli per i possibili acquirenti; ma anche nelle caratteristiche anagrafiche e reddituali degli inquilini Ater, sempre più anziani e per il 41% (dati 2018) costituiti da nuclei familiari con un reddito fiscale inferiore a due pensioni minime INPS.
Vendere per ampliare e migliorare il patrimonio residenziale pubblico, obiettivo da sempre dichiarato per giustificare l’alienazione delle abitazioni, si sta rivelando sempre meno credibile; serve solo per coprire, in modo assolutamente inadeguato, la carenza di investimenti statali e regionali nel settore dell’edilizia pubblica e per liberarsi di abitazioni, specie se sfitte, che richiederebbero notevoli risorse per essere recuperate e riassegnate.
4) Canoni di locazione e morosità
L’aumento delle abitazioni sfitte e le politiche di vendita hanno avuto effetti negativi anche sulle entrate annue da canoni di locazione: il monte fitti registra dal 2012 al 2018 una costante riduzione. Questo trend si inverte nel 2019 in seguito all’entrata in vigore del nuovo regime dei canoni stabilito dalla L.R. 39/2017, applicato dal mese di luglio, che porta ad un aumento del monte fitti di competenza di 1,3 milioni di euro (da 13,1 a 14,4). Dopo questo exploit però i canoni di competenza e i canoni riscossi crollano nel 2020 ai livelli più bassi dal 2009.
A fine 2019 la Regione, sotto la spinta di una vasta mobilitazione degli inquilini ERP contro la nuova normativa, introduce con effetto retroattivo al 1/7/2019 la riduzione della percentuale massima di incidenza del cosiddetto “canone sopportabile” sull’ISEE familiare dal 25% al 18% e la non applicabilità al canone di locazione versato dagli inquilini dell’IVA del 10% , come precedentemente deliberato.
Di conseguenza Ater, che nel bilancio di previsione 2020 aveva indicato, sulla scorta dei risultati 2019, un aumento del monte fitti di competenza a 14.610 mila euro ha dovuto procedere a un conguaglio dei canoni e alla restituzione dell’IVA pagata dagli inquilini di alloggi ERP e a rivedere l’aumento del gettito dei canoni previsto per il 2020: da 14,6 milioni di euro del bilancio di previsione ai 10,1 milioni del bilancio consuntivo; una perdita secca di 4,5 milioni di euro.
Nella Relazione sulla gestione il presidente Nordio conclude:“ […] a fronte di una iniziale previsione di aumento del gettito dei canoni previsto per il 2020, a seguito delle modifiche normative intervenute a fine 2019 si evidenzia invece a consuntivo una diminuzione dei ricavi, che riporta i valori dell’emesso per canoni vicino a quelli riferiti alla precedente Legge regionale 10/1996.”
Una legge che avrebbe dovuto rappresentare una boccata d’ossigeno per il bilancio di Ater ha quindi sortito in realtà risultati pressoché nulli, almeno per quanto riguarda il monte fitti aggregato percepito dall’Azienda. Superato il 2020, anno caratterizzato da molti elementi di incertezza riguardo la definizione canoni di locazione, per il 2021 Ater prevede un incremento da fitti compreso tra il 5% e il 10%.
Anche tra gli inquilini Non Erp, assoggettati al “canone concordato” fissato dalla L. 431/98, nel 2020, a fronte di ricavi previsti per 2,5 milioni di euro, quelli effettivamente fatturati sono risultati 2,0 milioni, con una differenza negativa di circa 500 mila euro.
A causa delle ripercussioni socio-economiche dell’emergenza sanitaria, molti inquilini di alloggi Non Erp hanno avuto gravi difficoltà nel pagamento del canone di locazione in quanto, a differenza degli inquilini assoggettati alla normativa Erp, non possono ottenere un canone ridotto in caso di peggioramento della situazione economica. L’Azienda rileva che molti inquilini Non Erp sono ricorsi all’”autoriduzione” dei canoni d’affitto, nell’impossibilità di versare per intero il corrispettivo richiesto. La preoccupazione dell’Azienda è che nel 2021 possa verificarsi una ulteriore diminuzione degli introiti per canoni e un aumento delle morosità.
Inoltre, gran parte dei contratti di locazione Non Erp dovrà essere rinnovato nel biennio 2021–22. e senza un intervento sociale dei Comuni questi inquilini rischiano di non potere più permanere nell’alloggio.
Nel 2019 il consistente incremento dei canoni sancito dalla L.R.39/2017 fatto lievitare sensibilmente anche il debito degli inquilini: la differenza tra canoni di competenza (previsione) e canoni riscossi (effettivamente versati dagli inquilini), e cioè la morosità annua, è stata pari a 1,4 milioni di euro, il 10% del monte fitti, la percentuale più alta di tutto il periodo esaminato.
Nel 2020 la morosità corrente è calata al 6,2%, del monte fitti di competenza, sia perché la riduzione dei canoni di locazione ha consentito agli inquilini una maggiore regolarità nel pagamento, ma anche per operazioni di sistemazione contabile e per la restituzione degli importi maggiori versati dagli inquilini di Erp, i cui crediti sono stati portati a copertura di morosità pregresse.
La morosità consolidata si attesta sui 6,7 milioni di euro, circa 700 mila euro in meno rispetto al 2019, morosità dovuta, in gran parte a nuclei che non sono più inquilini Ater (ad es. per decesso dell’assegnatario o per sloggio dall’abitazione) e quindi di ancor più difficile riscossione.
Nel 2019 e nel 2020 Ater ha deliberato l’annullamento di crediti inesigibili per 2,6 milioni di euro, relativi a situazioni per i quali ha verificato l’impossibilità al recupero. Ciò nonostante la morosità consolidata rimane molto elevata e pari al 34% dei fitti che l’Azienda avrebbe dovuto incassare. Aumenta inoltre il numero di inquilini morosi, salito a 2.224, 322 in più rispetto al 2019.